William Eugene Smith è stato uno dei più grandi fotografi documentaristi. Con il suo eccezionale uso del bianco e nero ha trasformato ogni immagine in un terribile teatro morale dove le anime cercano bellezza e redenzione.
La vita di William Eugene Smith
Eugene Smith nasce a Wichita, in Kansas, il 30 dicembre del 1918. Inizia a fotografare da giovanissimo. Tuttavia dei suoi primi scatti non rimane più nulla. Infatti, lo stesso Eugene Smith li brucia, anni dopo, ritenendoli troppo scarsi. Il padre si suicida nel ’36, quando Smith aveva 18 anni. La madre, estremamente religiosa, gli impartisce un’educazione rigida. Inizia una collaborazione come fotoreporter per il giornale della sua cittadina e, nel 1936, viene ammesso alla Notre Dame University. Abbandonata l’università e trova lavoro con il settimanale Newsweek, da cui viene successivamente allontanato per aver rifiutato l’uso delle macchine Graphic 4×5.
Nel 1939 viene contattato dalla rivista Life con cui inizia una collaborazione come fotografo di guerra nel teatro bellico del Pacifico. Alcune delle immagini scattate durante queste operazioni divennero vere e proprie icone della seconda guerra mondiale. Il 23 maggio 1945 viene ferito al volto dall’esplosione di una granata: nei due anni successivi è costretto a dolorosi interventi.
Torna a collaborare con Life e realizza alcuni dei reportage più celebri pubblicati dalla rivista americana: su tutti “Spanish Village“, in cui è raccontata una cittadina spagnola in pieno franchismo, “Country Doctor“, narrazione fotografica dell’attività di un medico generico nella campagna america, e “Minamata”, in cui fotografò i tragici effetti dell’inquinamento da mercurio in Giappone.
Pittsburgh: il progetto impossibile del fotografo
Nel 1955, a soli 36 anni lascia la rivista Life, rassegnando le dimissioni. Lo stesso anno riceve un incarico dal noto giornalista Stefan Lorant di scattare cento fotografie nella città di Pittsburgh durante tre settimane, per commemorare il bicentenario della fondazione. Smith rimane tre anni, scattando quasi 17 mila negativi di quello che sarebbe stato il saggio fotografico più ambizioso della sua vita. L’idea del fotografo statunitense era quella di usare la città di Pittsburgh come un archetipo per raccontare i paradossi della vita cittadina americana. Un progetto in larga parte autofinanziato che che conduce il fotografo americano in uno stato di bancarotta. Il progetto su Pittsburgh, che doveva essere la sua opera per l’eternità, non vide mai la luce. La mole del progetto rese difficoltoso renderlo organico e la volontà di Smith di averne il pieno controllo ne ostacolò la pubblicazione. Dopo la sua morte, molti negativi vennero persi, duemila scatti finirono nel Center for Creative Photography di Tucson, in Arizona.
Grazie all’interessamento di Ansel Adams, ottiene nel 1976 una cattedra all’Università dell’Arizona, ma una grave forma di diabete lo porta prima al coma e successivamente alla morte nel 1978. In mezzo due matrimoni e due divorzi, depressione, alcolismo e bancarotta finanziaria. Oggi, l’eredità di Smith rivive attraverso un Fondo monetario commemorativo per promuovere la “Humanistic. Photography”.
Lo stile di W. Eugene Smith
Le fotografie di W. Eugene Smith si distinguono per un bianco e nero sporco ed intenso come pochi. Un rapporto conflittuale con editori e riviste ha caratterizzato la sua vita. Da una parte una indiscussa genialità creativa, dall’altra sistematici ritardi nelle consegne e richieste di assoluta autonomia nel realizzare i report. Il fotografo americano ha sempre creduto in una funzione etica del fotogiornalismo e per raggiungere il suo scopo ha sentito il bisogno di una autonomia professionale piena, tale da comprendere la scelta delle foto da pubblicare, la loro sequenza e l’impaginazione. Le sue immagini hanno raccontano il secolo trascorso con un rigore e un senso di unicità e completezza senza pari.
Alla documentazione di aspetti crudi e dolorosi, il fotografo statunitense amava sovrapporre una personale visione creativa, per elevare la condizione umana ad una dimensione epica. In aperto contrasto con una delle norme fondamentali del fotogiornalismo, Smith non ha esitato a ricostruire le scene e ad inserire nella stampa parti di fotogrammi diversi e ritocchi in camera oscura. Tutto ciò non al fine di produrre falsificazioni, ma di ottenere una rappresentazione realistica che coniugasse la forza espressiva delle immagini, con la narrazione letteraria.
Se volete vedere il lavoro di altri maestri della fotografia vi rimando alla sezione Maestri della fotografia. Se, invece, volete approfondire le nuove correnti fotografiche e i nuovi autori della fotografia artistica, vi rimando alla sezione Fotografia Artistica.
La citazione
“A cosa serve una grande profondità di campo, se non c’è un’adeguata profondità di sentimento ?…..“La fotografia è un potente mezzo d’espressione. Usata in modo appropriato ha un grande potere di miglioramento e conoscenza; usata in modo sbagliato può accendere fuochi preoccupanti”
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