Una biennale che sa di fiera: basta pagare per esporre

Crediamo dunque, con questa visione, che la fotografia oggi possa divenire protagonista e nuovo punto di riferimento per la nostra cultura. L’evento porrà le sue basi su una collaborazione sincera e leale tra i vari attori del panorama culturale italiano: in primis gli artisti, poi i fotolaboratori, le gallerie ed i curatori. Non desideriamo che in nessun modo possa intervenire, nelle scelte espositive, l’establishment che oggi gestisce l’arte in Italia e nel mondo. Per la prima volta si riuniranno le immagini di tutti i Fotografi contemporanei per proposta spontanea e non attraverso selezioni, che in qualche modo ne restringano e limitino la partecipazione. Il risultato sarà una vera e propria Antologia, uno spaccato della Fotografia Italiana nel senso più ampio, a dimostrazione della capacità professionale, progettuale, creativa e di ricerca. In breve: la qualità artistica della fotografia Italiana“.


Mi sono imbattuto per caso nel sito della Biennale di Fotografia.  Dopo aver letto interessato questo incipit sono rimasto contrariato dal regolamento
L’idea espressa dal direttore artistico Giorgio Gregorio Grasso di porre un punto zero per una storicizzazione di un mezzo espressivo quale è la fotografia, mi sembrava accattivante, salvo poi confrontarmi con la dura realtà di un evento organizzato con tanta approssimazione, che si basa sul prestigio di un titolo, quello di Biennale, svuotato del tutto della sua essenza
Il meccanismo di iscrizione infatti è quello di una “non selezione“. Si paga  per esporre. Insomma un regolamento da fiera, che mal si adatta agli intenti annunciati. Basterà pagare 350 euro e per ogni artista ( o pseudo tale)  verranno selezionate due delle opere inviate. Ognuno avrà a disposizione uno spazio pari a 100 cm di larghezza per 200 cm di altezza. 
L’evento cosi organizzato stentiamo a credere che dia vita ad un’antologia rappresentativa, un compendio significativo dello stato della fotografia italiana contemporanea, tale da giustificare il nome di Biennale. 
Ci aspettiamo, piuttosto un risultato da calderone. Un mix senza nessun percorso tematico o qualitativo che faccia sentire più artisti i tanti fotoamatori. Un percorso che renderebbe ancora più confusa la differenza tra chi scatta un flusso automatico ed inconscio,   che costituisce memoria del solo apparecchio fotografico, e chi, attraverso una continua ricerca, comunica una sua personale visione interpretativa. 
L’evento curato da Vittorio Sgarbi, che vede la direzione artistica di Giorgio Gregorio Grasso e si avvale della collaborazione dell‘Istituto italiano di Cultura, del patrocinio della RegionePiemonte e della sponsorizzazione del Corriere della Sera e di Nec si presenta, a nostro parere,  come uno schiaffo al lavoro di tanti singoli, collettivi e gruppi di lavoro che da anni contribuiscono con passione alla diffusione della cultura fotografica, creando occasioni di contatto, fra appassionati e addetti ai lavori, senza chiedere in cambio ingenti conguagli.

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