Ugo Mulas – Maestri della fotografia

“Come i bambini che non sanno ancora parlare, e quando cercano o vogliono una cosa si esprimono avvicinandosi ad essa, toccandola, o fiutandola, o indicandola e con mille atteggiamenti diversi, così il fotografo quando lavora, gira intorno all’oggetto del suo discorso, lo esamina, lo considera, lo tocca, lo sposta, ne muta la collocazione e la luce; e quando infine decide di impossessarsene fotografandolo, non avrà espresso che una parte del suo pensiero… Ciò che veramente importa non è tanto l’attimo privilegiato, quanto individuare una propria realtà, dopo di ché tutti gli attimi più o meno si equivalgono. Circoscritto il proprio territorio, ancora una volta potremo assistere al miracolo delle “immagini che creano sé stesse”, perché in quel punto il fotografo deve trasformarsi in operatore, cioè ridurre il suo intervento alle operazioni strumentali. Al fotografo il compito di individuare una sua realtà, alla macchina quella di registrarla nella sua totalità” .

Ugo Mulas è una delle figure più importanti della fotografia internazionale del secondo dopoguerra. Ugo Mulas nasce a Pozzolengo, nel Bresciano, il 28 agosto del 1928; suo padre, contadino, si era trasferito dalla Sardegna in cerca di miglior fortuna. Dopo il Liceo Classico frequentato a Desenzano del Garda, Ugo si trasferisce a Milano. Qui si iscrive a giurisprudenza, ma prima di terminare la laurea lascia gli studi per seguire i corsi serali di Belle Art idell’Accademia di Brera.

L’ambiente artistico milanese è particolarmente vivo, diviso tra Realismo e Astrattismo, aperto alle nuove tendenze internazionali. L’incontro con la fotografia avviene in un bar di via Brera, il bar Jamaica. Dal 1954, insieme all’amico fotoreporter Mario Dondero, inizia a frequentare la Biennale di Venezia della quale diviene fotografo ufficiale.


Partecipa, così, a tutte le edizioni fino al 1972, documentando la storia e lo spirito della manifestazione. L’attività professionale lo conduce a collaborare con Giorgio Strehler come fotografo di scena al Piccolo Teatro di Milano. Qui realizza le fotocronache di molti spettacoli teatrali, ritraendo alcuni dei principali attori italiani dell’epoca.


A partire dal 1962 viene invitato a ritrarre gli artisti presenti a Spoleto per l’annuale ricorrenza del Festival dei Due Mondi. Durante la Biennale del 1964 conosce il critico Alan Salomon e il gallerista Leo Castelli, viaggia negli Stati Uniti tra il 1964 e il 1967 ed entra in contatto con i principali esponenti della pop art newyorkese: Marcel Duchamp, Jasper Johns, Frank Stella, George Segal, Roy Lichtenstein e Andy Warhol.


Nel 1970 scopre di essere ammalato di tumore. Nell’arco di tempo che lo separa dalla morte, Mulas si dedica a far ordine nella propria opera, sviluppando una riflessione critica sul significato e sulle modalità del medium fotografico, che prende sostanza e forma nelle cosiddette “Verifiche”, una serie di quattordici fotografie dal grande potere evocativo che influenzeranno profondamente il lavoro di molti fotografi successivi.


Per Mulas fotografare l’arte non si riassumeva nella riproduzione dell’oggetto artistico in sé stesso, quanto nella convinzione di poter ritrarre il contesto ampio del processo. Il fotografo non è un semplice spettatore, un registratore degli eventi. Il fotografo è parte della scena, interagisce con essa, facendosi coinvolgere. Precursore dell’arte concettuale italiana, Mulas nell’accostarsi ai vari discorsi artistici contemporanei, rivela un’attitudine da critico d’arte.

Le “Verifiche” , testamento morale del fotografo italiano, lasciano traccia della riflessione matura della poetica di Mulas, rappresentando l’esito conclusivo di una lunga ricerca dove la fotografia non si riduce all’immagine: «Nel 1970 ho cominciato a fare delle foto che hanno per tema la fotografia stessa, una specie di analisi dell’operazione fotografica per individuarne gli elementi costitutivi e il loro valore in sé. Per esempio, che cosa è la superficie sensibile? Che cosa significa usare il teleobiettivo o un grandangolo? Perché un certo formato? Perché ingrandire? Che legame corre tra una foto e la sua didascalia? ecc. Sono i temi, in fondo, di ogni manuale di fotografia, ma visti dalla parte opposta, cioè da vent’anni di pratica, mentre i manuali sono fatti, e letti, di solito, per il debutto. Può darsi che alla base di queste mie divagazioni ci sia quel bisogno di chiarire il proprio gioco, così tipico degli autodidatti, che essendo partiti al buio, vogliono mettere tutto in chiaro, e conservano rispetto al mestiere conquistato giorno dopo giorno, un certo candore e molto entusiasmo. Ho chiamato questa serie di foto Verifiche, perché il loro scopo era quello di farmi toccare con mano il senso delle operazioni che per anni ho ripetuto cento volte al giorno, senza mai fermarmi una volta a considerarle in se stesse, sganciate dal loro aspetto utilitaristico » .

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