Le fotografie di Arthur Tress sono immagini difficilmente inquadrabili in una corrente o in un genere preciso. Nonostante abbia spesso lavorato su commissione, il fotografo americano ha sempre utilizzato il mezzo fotografico allo scopo di guardarsi dentro, di raccontare se stesso e il mondo interiore circondato da fantasmi e paure.
Arthur Tress nacque a Brooklyn il 24 novembre 1940 da genitori di fede ebraica. La sua infanzia è caratterizzata da numerosi traslochi e separazioni familiari. Passò diversi anni ad accudire il padre malato. La salute precaria e il lento decesso alla fine degli anni ‘70 instillarono in Arthur l’idea profonda che la vita non possa essere vissuta senza sofferenza.
Lo stesso padre, molti anni prima, aveva incoraggiato il suo talento artistico spingendolo verso lo studio delle arti. Già a dodici anni Arthur aveva iniziato a fotografare. Dopo un ennesimo trasloco a Manhattan, si iscrisse al Bard College, una scuola sperimentale in cui poté seguire una serie di corsi inusuali per altri istituti americani. Dopo la laurea in pittura e storia dell’arte, lasciò New York per trasferirsi a Parigi, dove studiò presso l’Accademia Cinematografica.
Presto, però, si rese conto che il suo vero interesse non era né la pittura né la cinematografia, bensì la fotografia. Intraprese un lungo viaggio di quattro anni intorno al mondo attraversando Messico, Egitto, Italia, India, Giappone, Thailandia e Svezia. Proprio in Svezia ottenne il suo primo incarico come documentarista delle culture tribali africane presso il Museo Etnografico di Stoccolma. Ammalatosi di epatite durante una delle sue missioni in Africa, fece infine ritorno negli Stati Uniti nel 1968 per farsi curare. Alla prima mostra personale intitolata “Appalachia: People and Places“, seguirono numerose esposizioni di successo a New York e la pubblicazione di numerosi libri, fino al 1986, anno in cui la fama di Tress sbarcò in Europa, con una retrospettiva itinerante dal titolo “Talisman“.
L’opera di Tress si avvale di un incessante flusso di sollecitazioni, che viaggiano sul sottile binario che separa la vita dalla morte. Una ricerca artistica che più di analizzare la materializzazione dell’immagini come forma documentaristica, si sofferma sull’analisi antropologica della stessa. Le Fotografie sono vere ambientazioni teatrali dove gli attori viaggiano tra i confini di realtà e irrealtà, apparentemente privi di qualsiasi logica, trasportati dal flusso della mente sognante.
Immagini caratterizzate da una sottile e penetrante capacità di visualizzazione e una spiccata abilità nella ricostruzione scenica. Sfumature surreali emergono nei volti, negli ambienti, nei paesaggi fotografati mediante una ricerca della demistificazione. Una fotografia che cerca di scavare nelle viscere dell’animo e nei sentimenti con una visione pessimista, interrogandosi sul contrasto psicologico tra morte e apparenza. Appare un mondo in rovina, con le sue dosi di violenza, dove tanto gli uomini come i bambini sembrano intrappolati in un gioco tanto divertente come spaventoso. Vi consiglio di guardare il sito dell’artista per avere una visione completa della sua opera.
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