L’atto fotografico come atto filosofico

Gli uomini hanno da sempre sentito la necessità di comunicare tra di loro e per farlo, nel corso del tempo, hanno elaborato diversi metodi. L’angoscia della transitorietà della vita, unita al desiderio di testimoniarne il passaggio, è alla base dell’istinto fotografico. Nell’atto fotografico, il fotografo, immortalando l’attimo, lo trascende e lo riveste di una qualità spirituale che supera i limiti della mortalità fisica. La fotografia, pertanto, soddisfa l’arcaico bisogno di sostituire l’oggetto, in una copia, “un doppio eterno”. Abbiamo nostalgia della realtà e cerchiamo di ricrearla con gli strumenti che abbiamo a disposizione. Ma, allo stesso tempo abbiamo paura della stessa e cerchiamo di canalizzarla in qualcosa che possiamo controllare. La fotografia rappresenta la manifestazione civile della passione di imbalsamare, del bisogno che ciò che è morto, possa rimanere vivo. Per mezzo della fotografia ci sentiamo dei piccoli Dei capaci di modellare attraverso il potere di rappresentazione, di scegliere come fossimo dei macellai le parti di spazio e tempo da preservare.

“Don’t ask me“ – Giuseppe Santagata ©

Nello stesso tempo, tuttavia, la fotografia ci rende impotenti di fronte alla realtà, ci illude di poterla cogliere. Spiazza le nostre certezze e rovescia il nostro modo di vedere le cose, mischiando visibile e invisibile. Tanto più profondizziamo la nostra indagine, tanto più ci rendiamo conto dell’inganno. L’immagine fotografica non solo riflette il mondo esterno o almeno una parte di esso, ma proietta costantemente il mondo interiore dell’autore. La vita che ci portiamo dentro diventa un filtro che usiamo per decifrare quello che avviene fuori. Ogni immagine sia essa “naturale” o “artificiale”, “documentale” o “ creativa”, non è altro che una costruzione. L’attuazione pratica dell’immagine mediante una certa fotocamera, velocità, diaframma, ISO e inquadratura, rappresenta un procedimento meccanico subordinato a una specifica decisione comunicativa, un atto non innocente: un atto filosofico. L’immagine fotografica è pornografica, nel senso che rende visibile ciò che non si deve vedere, spoglia chi viene fotografato e colui che fotografa, scavando dentro la pelle, alla ricerca dei segreti più intimi di entrambi. Lo spettatore s’impossessa di tutto ciò. Lo fa suo proiettandolo nel suo universo. Il senso delle immagini non spetta solo al suo autore. Chi guarda, infatti, diventa titolare del senso. Per mezzo del godimento visuale, lo spettatore si tramuta in una specie di co-autore. Senza di lui il senso ultimo di un’immagine non esisterebbe.

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