In questo articolo scopriremo qual è la prima fotografia a colori della storia e quali sono state le difficoltà nell’introduzione di un metodo per riprodurre il colore in fotografia.
Al giorno d’oggi fare fotografie a colori appare facile e scontato. Tuttavia, la ricerca di un procedimento semplice ed economico di fotografia a colori ha seguito un cammino largo e difficile. I primi esperimenti nella fotografia a colori iniziano poco dopo la nascita della prima fotografia di Niépce. L’obiettivo era trovare un materiale che avrebbe restituito i colori della luce.
Colorare a mano le fotografie
Diversi procedimenti e materiali sono stati usati nel corso del tempo per colorare a mano le immagini fotografiche in bianco e nero. Molti pittori di miniature, che si erano sentiti minacciati dall’avvento della fotografia si videro costretti a virare su questo procedimento. Anche dopo l’emergere dei primi procedimenti di colore, la colorazione a mano continuò a essere popolare, in quanto rappresentava un’alternativa economica e semplice.
Quando è stata scattata la prima foto a colori?
Levi Hill e il procedimento Hillotyopes
Alcuni sostengono che la fotografia a colori sia stata inventata dal ministro battista Levi Hill, di Westkill, New York, già nel 1850. L’annuncio di questo procedimento a colori aveva bloccato il mercato dei dagherrotipi, poiché molti clienti avevano preferito attendere l’imminente presentazione di questa nuova tecnica. Si dice che lo stesso Hill venne minacciato da un gruppo della New York Daguerrean Association. Dopo aver comprato un revolver e un cane da guardia, Levi Hill decise di continuare con la sua ricerca e nel 1856, pubblicò il procedimento a colori usando i dagherrotipi.
Quando i fotografi hanno finalmente messo le mani sul tanto desiderato libro, scoprirono come piuttosto che un spiegazione del metodo passo a passo, fosse un racconto sconnesso dei suoi esperimenti, così complicato da essere considerato inutile. Molti considerarono lo stesso procedimento fraudolente. Hill rinunciò presto al ministero, per dedicarsi a tempo pieno alla fotografia. Soffriva di bronchite cronica e credeva che l’inalazione dei fumi delle sostanze chimiche fotografiche lo aiutasse. I fumi chimici dei procedimenti lo uccisero e presto passò nella mitologia fotografica.
È interessante notare che, più di cento anni dopo, nel 2007, i ricercatori del National Museum of American History hanno potuto analizzare il lavoro di Hill e hanno scoperto che aveva trovato effettivamente un modo per riprodurre i colori. Tuttavia le immagini che aveva presentato come esempio, presentavano anche dei pigmenti che erano stati aggiunti a mano per migliorare l’effetto. Levi Hill non aveva mentito completamente sulla sua scoperta, ma ne aveva sicuramente abbellito i risultati.
Edmond Becquerel e il pappagallo impagliato
Più o meno nello stesso periodo, Edmond Becquerel riuscì a ottenere risultati migliori, sebbene non potesse impedire che i colori si dissolvessero rapidamente quando le immagini venivano esposte alla luce per essere visualizzate. Becquerel realizzò un’immagine raffigurante un pappagallo impagliato che fu mostrato all’esposizione internazionale di Parigi del 1855. Secondo il celebre fotografo Nadar :”La riproduzione di questo pappagallo aveva sfumature grigie, blu e rosse di notevole intensità.” L’uccello fu soprannominato “The Susceptible Parrot“, poiché la luce agiva irrimediabilmente sul colore e l’immagine poteva essere vista solo in una piccola tenda velata di nero.
Invenzione del metodo a tre colori
Il metodo a tre colori, che è la base di praticamente tutti i processi di colore pratici, sia chimici che elettronici, è stato proposto in un documento del 1855 sulla visione a colori, dal fisico scozzese James Clerk Maxwell.
Prima fotografia a colori duratura
Nel 1861 il fotografo Thomas Sutton, lavorando con Maxwell, realizzò tre immagini di un nastro scozzese (tartan ribbon) usando i filtri rosso, verde e blu, davanti all’obiettivo della fotocamera. Le tre fotografie sono state sviluppate, stampate su vetro e poi proiettate su uno schermo con tre diversi proiettori, ciascuno dotato dello stesso filtro colore utilizzato per fotografarlo. Sovrapposte sullo schermo, le tre immagini formavano un’immagine a colori.
Sebbene gli esperimenti di Maxwell hanno dimostrato chiaramente i principi base della fotografia a colori, la successiva l’indagine scientifica ha rivelato come le emulsioni fotografiche utilizzate da Sutton non fossero in grado di registrare pienamente lo spettro visibile e che la dimostrazione di Maxwell non avrebbe dovuto funzionare. Non erano infatti, ancora state inventate le emulsioni ortocromatiche e pancromatiche. Per sua fortuna, il tessuto rosso nel nastro rifletteva la luce ultravioletta. Questo era invisibile all’occhio ma venne registrato dall’emulsione e il filtro verde, probabilmente difettoso, ha lasciato passare qualche luce blu. Le tre lastre fotografiche ora risiedono in un piccolo museo situato in India Street 14, a Edimburgo, la casa natale di Maxwell.
Il fenomeno dell’interferenza di Gabriel Lippman
Un approccio completamente diverso è stato seguito dal fisico Gabriel Lippmann, che è ricordato come l’inventore di un metodo per riprodurre i colori, basato sul fenomeno dell’interferenza. Lippmann riuscì a produrre una lastra fotografica a colori sfruttando l’interferenza delle onde dell’immagine con la loro stessa riflessione su uno specchio di mercurio posto dietro l’emulsione sensibile. Ogni raggio di luce impressiona l’emulsione in punti la cui distanza è legata alla sua lunghezza d’onda, dunque al suo colore. Lippmann rese pubblica la sua invenzione all’Accademia delle Scienze il 2 febbraio 1891.
Per questo lavoro, ha ricevuto il Premio Nobel per la Fisica nel 1908. Tuttavia, i tempi di esposizione estremamente lunghi richiesti di questo tipo di procedimento, hanno reso l’invenzione di Lippman inutile per la successiva sperimentazione sulla fotografia a colori.
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