Kikuji Kawada è uno dei fotografi più importanti della storia della fotografia giapponese. Co-fondatore del famoso collettivo fotografico “Vivo” nel 1959 con Akira Sato, Eikoh Hosoe, Ikko Narahara, Akira Tanno e Shomei Tomatsu. È stato uno dei quindici artisti selezionati per la mostra “New Japanese Photography” al Museum of Modern Art di New York nel 1974.
La vita di Kikuji Kawada
Kikuji Kawada nasce nel 1933 nella prefettura di Ibaraki. Studia economia all’Università Rikkyo di Tokyo tra il 1948 e il 1955. Fotografo autodidatta, lavora per la casa editrice Shinchosha fino al 1959. La sua prima mostra personale, intitolata Sea, si tiene al Fuji Photo Salon di Tokyo nel 1959. Con Sea, Kawada esplora uno dei suoi temi preferiti: la storia di Hiroshima attraverso le sue rovine e i suoi paesaggi di desolazione. E’ cofondatore del famoso gruppo fotografico VIVO, che nel linguaggio universale Esperanto significa “vita”, con Ikko Narahara, Shomeı Tomastu ed Eikoh Hosoe. Il gruppo era promotore di un nuovo stile fotografico che contrastava con il realismo fotografico dei fotografi giapponesi dagli anni ’30. Il suo lavoro fa parte dell’importante mostra “New Japanese Photography” del 1974 al Museum of Modern Art di New York. Nel 1996, Kawada riceve due importanti riconoscimenti, il premio annuale della Photographic Society of Japan e un premio dal International Photographic Fesival di Higashikawa. Nel 2011 gli viene conferito il Lifetime Achievement Award dalla Photographic Society of Japan.
Lo stile delle fotografie di Kikuji Kawada
La fotografia di Kawada non si limita alla sola documentazione del paesaggio. Fedele sempre al bianco e nero, il fotografo giapponese si avvale del medium fotografico per indagare la connessione tra immagine astratta, realtà e sentimenti. Due serie fotografiche, Chizu (The Map) del 1965 e The Last Cosmology del 1979-1997, segnano il successo del fotografo giapponese e la conseguente attenzione internazionale. Map esamina gli effetti della seconda guerra mondiale. The Last Cosmology, invece, concentrandosi su segni luminosi, offre agli spettatori un’immagine quasi astratta, in cui i cambiamenti nell’atmosfera vengono rilevati come pure sensazioni visive.
Nelle sue immagini, Kawada combina diversi livelli di comprensione che creano differenti approcci alla realtà. Questa tendenza viene accentuata nella serie Seinaru Sekai (Dannato Atavismo) nel 1971 e Ludwig II no Shiro (Castello di Ludwig II) nel 1979. In queste serie, Kawada si avvale di uno stile fotografico che accentua i contrasti, giocando con vari livelli di simbolismo. Le sue immagini evocano un mondo in cui il sacro diventa grottesco, in un parallelo tra il Giappone e l’Occidente. Questa tematica viene esplorata, in maniera più approfonditamente psicologica, nella serie Los Caprichos del 1986, in cui Kawada si concentra sulla demenza e la pazzia nascoste nella noia e nella banalità della vita quotidiana.
A partire dal 1999, Kawada utilizza la fotografia digitale e le nuove tecniche di stampa per comporre fotomontaggi. Immagini manipolate che ritraggono diversi oggetti legati alla società dei consumi. Nella serie Eureka, il fotografo giapponese dà vita a una città immaginaria usando elementi come monumenti o autostrade, che vengono estratte da altre città, per sottolineare l’incoerenza, l’instabilità e la perdita di punti di riferimento della vita moderna.
Il libro Chizu (The Map)
Il libro “The Map” (Chizu) combina un potente design grafico con una narrativa fotografica magistrale che esplora la recente storia giapponese, il suo passato imperialista, la cultura popolare influenzata dall’Occidente e lo scontro violento con gli Stati Uniti. Le fotografie, molte delle quali visibili solo con l’apertura delle pagine pieghevoli a doppia pagina, catturano paesaggi, ritratti e oggetti che ricordano gli orribili eventi bellici.
Kawada non si concentra su un oggetto o un dettaglio fine a se stesso, ma lo sceglie come vettore simbolico. Definito da Sean O’Hagan come il libro fotografico giapponese più complicato e potentemente evocativo di sempre, The Map richiede un grado di contemplazione paziente e silenziosa.
Le fotografie di Kawada uniscono sapientemente astrazione e realismo. Grazie alla metafora della mappa come serie di segni ad incastro, il fotografo giapponese evoca una brillante similitudine con la fotografia stessa, allo stesso tempo documento ed enigma.
La citazione
“Ho avuto la mia prima macchina fotografica al liceo. La prima volta che l’ho usata, sono salito in bici e sono andato in montagna, molto lontano, dove non c’era nessuno. Ho finito per scattare foto di erba secca. Ripensandoci ora, non ho idea del motivo per cui l’abbia fatto”.
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