Immagini sempre più simili e sistemi di scatto che decidono per noi: quale fotografia vogliamo?

“A cosa serve una grande profondità di campo se non c’è un’adeguata profondità di sentimento?”(William Eugene Smith). Nonostante la grande mole d’immagini che vengono scattate e caricate giornalmente online, assistiamo sempre di più ad un fenomeno di omologazione dei contenuti. Siamo di fronte ad un vero e proprio bombardamento di immagini che produce effetti destabilizzanti e al posto di creare interesse verso il confronto, soprattutto per una scarsa educazione all’immagine, finisce per creare un’estetica uniforme.

Quella che possiamo definire come la seconda rivoluzione democratica della fotografia dopo l’avvento delle fotocamere Kodak, ovvero l’avvento degli Smartphone e di applicazioni dedicate allo sharing di immagini, quali ad esempio Instagram, invece di produrre una diversificazione dei punti di vista e delle tematiche affrontate, ha portato ad una ripetizione di topos che vengono scattati e riscattati alla ricerca dell’approvazione social: il Like. La smania di fotografare ha preso il sopravvento sulla visione. E’ cambiato non solo il modo di usare la fotografia, ma anche quello di vederla. Tutto viene fotografato e condiviso, in fretta. Le persone che si avvicinano alla fotografia sono assillate più dal raggiungere uno scatto simile ad uno già visto e dal ottenere uno scatto “tecnicamente corretto”, peraltro cosa abbastanza facile, che al badare ai due aspetti essenziali di una immagine ovvero la forma e il contenuto

Impariamo a vedere prima di poter parlare. La vista è uno dei sensi che prima si sviluppa, ma anche uno dei più difficili da affinare. Guardare non è solo un atto percettivo, s’intreccia con il vissuto, la storia e la memoria di ogni persona. Affinare la nostra maniera di guardare aiuta a creare immagini diverse dagli altri, perché fotografiamo chi siamo e ognuno di noi è diverso.
La fotografia è un linguaggio profondamente ambiguo. È molto facile creare uno scatto piacevole, a volte questo avviene anche casualmente e si ha ben presto l’illusione di diventare competenti, ma allo stesso tempo è molto difficile creare una visione personale con le nostre immagini. Sempre più spesso noto un interesse morboso unicamente verso i parametri qualitativi delle fotografie. Le case produttrici di macchine e software fotografiche cavalcano questa profonda ambiguità. Così viene sempre data maggior importanza al mezzo che allo sguardo. Vengono create fotocamere che da sole fanno tutto il lavoro o software che automaticamente decidono al posto nostro. Si è arrivato all’assurdo di creare un sistema d’intelligenza artificiale che praticamente decide tutte le dinamiche dello scatto. Si tratta di Arsenal, un progetto lanciato nel Kickstarter, un apparecchio d’intelligenza artificiale che viene piazzato sopra la nostra fotocamera e decide tutti i parametri dello scatto in base ad altre immagini simili, in modo da creare lo “scatto perfetto” per la scena.

Siamo di fronte ad uno strumento che non facilita il lavoro di un fotografo, ma che annulla la stessa peculiarità dello scattare. Il fatto di decidere su alcuni parametri tecnici è una questione creativa al servizio del contenuto che vogliamo dare. Credo che spesso invece di invertire i nostri soldi per comprare un nuovo obiettivo o una nuova fotocamera, dovremmo usarli per nutrirci, per crescere come persone. Un buon libro, un buon film, un viaggio o una esperienza di vita è più importante di qualsiasi strumento e si rifletterà automaticamente in quello che creiamo.

1 COMMENT

  1. Io la butto là: questa invenzione non potrebbe essere un vantaggio per i veri fotografi?
    Cioè le fotografie quelle amatoriali, quelle belle a prescindere, il bel paesaggio al tramonto, le possono fare tutti, tendenzialmente interessano poco perché sono tutte uguali, e quindi trovo giusto che ci sia un ausilio tecnologico che possa aiutare a fare un qualcosa che ormai già standardizzato.
    Invece il vero occhio del fotografo, quello che si acquisisce dopo anni anni di fotografie, e di lavoro critico su se stessi alla ricerca della PROPRIA forma espressiva, non potrà mai essere rimpiazzato. Penso manchi ancora un bel po' prima che riusciranno ad inventare un'app per il talento.

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