Il lavoro del fotografo giapponese Haruhiko Kawaguchi, più noto con lo pseudonimo di Photographer Hal, affronta tematiche inerenti le relazioni intime ed amorose, attraverso un aspetto visuale scioccante. I soggetti vengono ritratti avvolti in plastica trasparente sotto vuoto.
La vita di Haruhiko Kawaguchi/ Photographer HAL
Lo pseudonimo di Photographer Hal, prende spunto da HAL 9000 (Heuristic ALgorithmic), il supercomputer di bordo della nave spaziale Discovery nel film 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick e dell’omonimo libro di Arthur C. Clarke.
Haruhiko Kawaguchi è nato nel 1971 a Tokyo, dove tuttora risiede. Si è avvicinato alla fotografia mentre lavorava presso un’agenzia di produzione pubblicitaria a Tokyo. Rappresentato dalla “Gallery Tosei” di Tokyo, ha vinto il Lens Culture Critics’ Choise 2021. Ha tenuto diverse mostre personali e collettive in Giappone, negli Stati Uniti, in Canada, in Australia, in Francia e nei Paesi Bassi.
La fotografia di Photographer Hal
A partire dalle immagini intime di amanti intrappolati all’interno di sacchetti trasparenti sigillati, le foto di Haruhiko Kawaguchi sono cresciute in termini di scala e di contenuti.
Il percorso del fotografo giapponese è iniziato nel ritrattare coppie avvolte tra di loro, tramite un sottile strato di plastica trasparente. Durante lo scatto, la coppia viene costretta in una situazione di apnea controllata di circa 10 secondi. La serie ispirata dall’idea del Simposio di Platone, si interroga su alcune sfaccettature dell’intimità e dell’amore, riunendo in un abbraccio forzato dalla mancanza d’aria, le due metà umane.
La serie “Flesh love All”
La nuova serie, “Flesh Love All”, ha ulteriormente espanso l’idea iniziale, focalizzandosi sulle connessioni umane con l’ambiente familiare circostante. La famiglia ritratta viene avvolta assieme all’ambiente intorno.
Photographer Hal recluta la maggior parte delle persone che fotografa attraverso i social media e il passaparola. Possono essere necessarie due settimane per creare degli involucri su misura e durante la sessione viene richiesto l’aiuto di molti assistenti per imballare tutta la scena. Il risultato di questo meticoloso lavoro è un’immagine visiva macabra, che colpisce e apre a diversi interrogativi.
Come ha sottolineato Elena Boille, responsabile del dipartimento fotografico della rivista “Internazionale”, le immagini hanno spesso una vita indipendente dall’intenzione del loro creatore. Anche se questo progetto è nato prima della pandemia, questi ritratti messi in scena richiamano, in maniera spettrale e simbolica, molte delle emozioni che abbiamo provato durante la quarantena da Covid. Si sono arricchite involontariamente di molti significati, spostando necessariamente la nostra attenzione interpretativa sul bisogno di protezione dal contagio, sulla difficoltà di respirare nella malattia e sulla mancanza di socializzazione.
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