“Da bambino ero solito fare lunghe passeggiate. Percorrevo appositamente il sentiero meno breve al ritorno da scuola. Al tempo, scelsi un albero per amico; stava sempre nello stesso punto, pronto a darmi il benvenuto ogni volta che passavo di là. Ho sempre creduto che gli alberi fossero creature misteriose, delle persone connesse alla radice della terra”.
Myoung Ho Lee è un giovane artista coreano (nato nel 1975 a Seul), che ha prodotto un’interessante serie che affronta le tematiche della percezione della realtà e della decontestualizzazione ambientale. L’albero separato artificialmente dalla natura che lo circonda, viene presentato in uno sfondo bianco, illuminato in modo tale da non produrre ombre, permettendo, allo spettatore di chiedersi se lo stesso appartenga all’ambiente o se si tratti di un ritratto posto artificialmente all’interno del paesaggio.
Il risultato di questi scatti minimalisti richiede, tuttavia, un difficile lavoro preparatorio. La tela, che si estende tra i quindici e i diciotto metri viene posizionata dietro gli alberi con l’aiuto di una squadra di assistenti e una gru. Gli elementi utilizzati per mantenere la tela in quella posizione, come corde o barre, vengono successivamente eliminati con un lavoro minimo di post produzione.
L’oggetto allora diventa ambiguo, un sorta di “meta-soggetto”. Gli alberi da tridimensionali si convertono in bidimensionali, come se fossero stati dipinti o stampati su poster a grandezza naturale.
Traendo spunto dalla lunga tradizione scientifica della fotografia botanica dove le piante e i fiori sono stati spesso fotografati su uno sfondo neutro, Myoung usa la tela non solo per catalizzare l’attenzione e equilibrare la composizione, ma soprattutto al fine di estrapolare i suoi soggetti dal loro contesto quotidiano, dando vita a immagini allo stesso tempo semplici e potenti.
Fotografie a metà strada tra land-art e surrealismo che riflettono sull’ambiguità dell’immagine e sull’ambivalenza della stessa.
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