La fotografia non è sempre stata considerata una vera e propria forma d’arte. Il lungo ed osteggiato percorso che l’ha portata ad essere accettata, sia culturalmente che giuridicamente, come attività artistica ha visto lo scontro tra chi sosteneva che un procedimento chimico/meccanico a consumazione pressoché istantanea non contenesse in sé quell’attività intellettiva propria della creazione d’arte e chi identificava nella fotografia un mezzo, alla stregua di un pennello o di uno scalpello, attraverso il quale l’artista arrivasse a concretizzare la propria idea.
Inizialmente la pretesa di autenticità del mezzo fotografico rappresentò allo stesso tempo la forza e la debolezza di quest’arte. Il fotografo doveva, infatti, avere necessariamente presenti i soggetti che riprendeva. Compito che non spettava, invece, al pittore, essendo l’immagine dipinta sempre un’interpretazione. Il vero potenziale della fotografia, tuttavia, arrivò attraverso una continua ricerca legata all’utilizzo di nuove tecniche d’avanguardia, che portarono alla separazione tra l’autenticità (fotografia come documento) e l’interpretazione espressiva.
L’avvento del digitale ha procurato un effetto di enorme democratizzazione del mezzo fotografico: oggi quasi tutti possiedono una macchina fotografica e fanno foto. Compatte, bridge, reflex, telefonini con fotocamera si sono impossessati dei nostri usi quotidiani. Le macchine fotografiche vengono acquistate grazie ad una costante spinta del marketing pubblicitario. L’idea alla base delle strategie di mercato è la possibilità e la semplicità di fare fotografie di una certa bellezza. Benché la macchina fotografica si fondi su principi scientifici e tecnici molto complessi, può essere utilizzata da qualsiasi persona in modo abbastanza facile. L’inganno pubblicitario fa credere che tutti con un semplice click possano creare opere d’arte. Ecco allora la caccia all’ultimo modello, a quello con più megapixeles, al più piccolo, che permetta di realizzare questo sogno. Sempre più spesso noto un interesse morboso unicamente verso i parametri qualitatividelle fotografie come la resa del dettaglio o la quantità di rumore, rispetto al contenuto del’immagine stessa. Questo atteggiamento innesca una pericolosa corsa (soprattutto in termini di costi) verso la perfezione grafica. Inoltre, la possibilità di poter riscattare a costo zero comporta una minore attenzione rispetto a quando si impressionava il rullino, meno pre-visualizzazione del risultato, meno pensiero, prima e durante lo scatto. Si è generalizzata, altresì, l’errata convinzione di poter sempre recuperare ogni genere di errore elaborando lo scatto in postproduzione.
In questo caos, cosa distingue il fotografo artista? Al di là dei differenti approcci visuali, la vera differenza è tra chi scatta un flusso automatico ed inconscio, che costituisce memoria del solo apparecchio fotografico, e chi attraverso una continua ricerca comunica una sua personale visione interpretativa. La democratizzazione, allora, da opportunità di ampliamento dell’interesse artistico della fotografia, diventa rischio legato, soprattutto, alla mancanza di strumenti per leggere criticamente l’immagine. Il bombardamento di immagini ai quali siamo sottoposti produce effetti destabilizzanti e al posto di creare interesse verso il confronto e verso la conoscenza provoca incertezza, aumentando il senso di incapacità di giudicare qualsiasi cosa non sia mera espressione della tecnologia. La poca attenzione istituzionale verso un’educazione all’immagine che fornisca gli strumenti atti a guardare e riconoscere un’opera d’arte genera caos. Esiste una necessità di chiarezza che permetta di far vedere la macchina fotografica come mezzo d’indagine della relazione tra il soggetto e l’oggetto, rivelando l’unicità che sottende allo scambio di emozioni, posizioni e valori tra i due partecipanti dell’evento artistico.
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