Creatività: peso e sofferenza nell’essere artista

Non è per nulla semplice dare una definizione sintetica e non riduttiva della creatività. La capacità di produrre pensiero creativo, come quella di comunicare o di apprendere, è una metacompetenza, cioè un’abilità trasversale, che può essere applicata a campi diversi. La scrittrice Elizabeth Gilbert, nell’interessante video in basso (con sottotitoli in italiano), riflette sul peso che la nostra società e il nostro modo di pensare carica sull’uomo-artista.
Nel pensiero occidentale si è instaurato, infatti,  il concetto per cui l’artista sia un genio. Un’idea che trae la sua origine dal Rinascimento e dall’Umanesimo, periodo nel quale l’uomo viene messo al centro di tutto l’universo, sopra tutti gli dèi e sopra ogni forza trascendentale. Un pensiero che ha completamente interiorizzato ed accettato la nozione che la creatività e la sofferenza siano in qualche modo legate e che l’arte, alla fine, condurrà sempre all’angoscia. Nell’antica Grecia e nell’antica Roma le persone, tuttavia,  non sembravano credere che la creatività venisse dagli uomini. Si pensava che la creatività fosse uno spirito divino che i greci chiamavano “daimon”, demone. Socrate stesso credeva di avere un demone che gli donava saggezza da lontano. E per i romani era lo stesso, ma chiamavano quella specie di spirito senza corpo “un genio”. La Gilbert con una discussione divertente e commovente ci offre l’idea radicale che il genio, piuttosto che  incarnarsi in una persona, sia un essere esterno che tutti noi possiamo possedere.

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