Il fotoreporter di cronaca nera Arthur Fellig, in arte Weegee (dalla tavola Ouija, chiamata scatola weegee in inglese, per sottolinearne la presenza costante e tempestiva sulla scena di ogni crimine) è considerato uno dei maestri della storia della fotografia.
La vita di Arthur Fellig in arte Weegee
Arthur Fellig nacque il 12 giugno 1899 a Zloczew, che a quei tempi facente parte dell’Austria (oggi Polonia). Nel 1906 il padre Bernard, a causa dei primi movimenti antisemiti, emigrò negli Stati Uniti e fu raggiunto dal resto della famiglia nel 1910. Il padre, che in Austria aveva iniziato a studiare da rabbino fu costretto, per mantenere la famiglia, a vendere terraglie con un carrello a mano. Lavorava anche insieme alla moglie come portiere, in cambio dell’affitto del piccolo appartamento, dove la numerosa famiglia prese dimora nel Lower East Side.
Arthur lasciò la scuola a quattordici anni per contribuire al sostentamento. Si avvicinò alla fotografia lavorando prima come aiutante di camera oscura, poi come assistente di un fotografo commerciale e come fotografo ambulante, ritraendo i bambini su un pony a noleggio.
Nel 1917, oppresso dalle rigide regole della sua famiglia, abbandonò la casa paterna e visse da homeless per un lungo periodo. Nel 1924 entrò alla Acme Newspictures (United Press International Photos) in qualità di tecnico di camera oscura, per poi passare alla libera professione di fotoreporter dieci anni dopo. Diventò il prototipo del frenetico fotoreporter di cronaca nera sempre a caccia di immagini sensazionali, in grado di accorrere sulla scena di un delitto o un incidente con incredibile tempestività, grazie ai contatti all’interno del distretto di polizia di Manhattan.
Nel 1938 fu autorizzato a installare sulla propria macchina una radio sintonizzata sulle frequenze della polizia, espediente che gli permise di battere la concorrenza sul tempo; in questo modo tra gli anni Trenta e Quaranta fu autore di 5000 reportage. Raggiunta la fama, il progressista quotidiano serale PM Daily gli affidò la possibilità di creare foto-storie di sua scelta. Nel 1941 espose la sua prima personale al Photo League di New York con il titolo “Weegee: Murder is My Business”. Nel 1945 pubblicò il libro “Naked City”, che ispirò l’omonimo film di Jules Dassin.
Lo stile delle fotografie di Weegee
Dal punto di vista tecnico scattava con una fotocamera 4 x 5 Speed Graphic, usando quasi sempre gli stessi parametri: f/16 e una velocità dell’otturatore di 1 / 200 di secondo con l’uso del flash. Nella parte posteriore della sua auto aveva un piccolo laboratorio fotografico che gli permetteva di sviluppare rapidamente per vendere le immagini ai giornali. Nonostante il poco tempo a disposizione compiva un notevole lavoro di focalizzazione al fine di avvicinare la parte interessante ed eliminare i particolari ritenuti superflui. Negli ultimi anni usò anche la fotografia ad infrarossi per ritrarre la vita oziosa nei caffè dell’alta società e per smascherare le apparenze artificiose di eleganza e decoro. Attraverso la pellicola infrarossa Arthur Fillig riusciva a portare alla luce elementi non immediatamente evidenti allo sguardo. Mascherando la sua presenza al buio completo, riusciva a sottrarre i segreti intimi degli individui.
Cresciuto a contatto con la dura e spesso violenta realtà della strada Wegee ha rappresentato la degradazione umana nei suoi aspetti più sordidi e squallidi, mostrando gli orrori concreti della miseria e della violenza della città di New York. Meglio di ogni altro è riuscito a catturare i segni della depressione nelle sue immagini dirette e opprimenti. Il suo linguaggio secco descrive emozioni forti.
Le sue foto colgono attimi in maniera furtiva. Le immagini di Arthur Fellig non nascevano da un’idea aprioristica, ma secondo un metodo immediato. Wegee amava avvicinarsi con la macchina fotografica in modo da cogliere la tensione esplosiva e spietata del momento. Affascinato dall’azione del flash, illuminava e appiattiva il soggetto diluendone i contorni in un intenso sfondo nero.
La citazione
“Ho scattato le immagini più famose di un’epoca violenta, le foto che tutti i grandi quotidiani, con tutte le loro risorse, non riuscivano ad avere ed erano costretti a comprare da me. E scattando quelle foto, ho fotografato anche l’anima della città che conoscevo e amavo”.
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